Secondo il diritto europeo la cessazione della qualifica di rifiuto può essere stabilita da un atto giuridico nazionale?

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La corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata di recente chiamata ad interpretare l’art. 6, paragrafo 4 della Direttiva 2008/98/CE1.

La questione è sorta a Tallinn dove, un’azienda che trattava fanghi di depurazione e li commercializzava come terriccio, si vedeva negare dall’Agenzia per l’ambiente locale il riconoscimento che questo trattamento fosse di effettivo recupero (R3) autorizzandolo solo come operazione preliminare al recupero (R12).

L’azienda presentava ricorso al Tribunale amministrativo che al fine di dirimere la controversia, sollevava questione pregiudiziale alla CGUE chiedendo in sostanza: “se l’articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2008/98 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale, qualora nessun criterio sia stato definito a livello dell’Unione per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dall’esistenza di criteri definiti da un atto nazionale di portata generale concernente tale tipo di rifiuti e se, in tali circostanze, un detentore di rifiuti possa esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro conformemente alla giurisprudenza della Corte”.

Ebbene, la CGUE nella sentenza del 28 marzo 2019, causa c-60/18, come già anticipato e suggerito dall’Avvocato Generale Juliane Kokott nelle sue Conclusioni, ha affermato che gli Stati membri possono decidere caso per caso se taluni rifiuti abbiano cessato di essere rifiuti, pur essendo tenuti a notificare alla Commissione le norme e le regole tecniche adottate a tal riguardo.

Lo Stato membro, quindi, ha la facoltà di fare ciò, ma può anche ritenere che taluni rifiuti non possano cessare di essere rifiuti e rinunciare ad adottare una normativa relativa alla cessazione della loro qualifica di rifiuti.

La libertà riconosciuta agli Stati membri, tuttavia ha dei limiti, come già detto dall’Avvocato generale, nel rispetto delle finalità della direttiva (gerarchia dei rifiuti, promozione del recupero, diritti fondamentali degli interessati).

Spetta alla Commissione e, in mancanza, agli Stati membri, tener conto di tutti gli elementi pertinenti e dello stato più recente delle conoscenze scientifiche e tecniche al fine di adottare i criteri specifici che consentono alle autorità e ai giudici nazionali di accertare la cessazione della qualifica di rifiuto di un rifiuto che ha subito un’operazione di recupero che consente di renderlo utilizzabile senza mettere in pericolo la salute umana e senza recare pregiudizio all’ambiente.

In conclusione, quindi, il diritto europeo non è contrario ad una normativa nazionale in forza della quale,  qualora non sia stato definito alcun criterio a livello dell’Unione europea per la determinazione della cessazione della qualifica di rifiuto per quanto riguarda un tipo di rifiuti determinato, la cessazione di tale qualifica dipende dalla sussistenza per tale tipo di rifiuti di criteri di portata generale stabiliti mediante un atto giuridico nazionale e non consente a un detentore di rifiuti di esigere l’accertamento della cessazione della qualifica di rifiuto da parte dell’autorità competente dello Stato membro o da parte di un giudice di tale Stato membro.


1 Art. 6, c. 4 Direttiva 200/98: “Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (24), ove quest’ultima lo imponga”. Si tenga conto che la Corte Ue nella pronuncia in questione non ha potuto tenere conto della nuova formulazione della direttiva 851/2018.

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