Quali terre e rocce da scavo rientrano nella disciplina di cui DPR 120/2017?

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La disciplina delle terre e rocce da scavo è principalmente contenuta nel DPR 13 giugno 2017 n. 120. Nello specifico, detto decreto, si preoccupa di circoscrivere il proprio ambito di applicazione nei suoi primi articoli.

E cosi, secondo il disposto dell’art. 2, comma 1, lett. c) per terre e rocce da scavo deve intendersi:

i. il suolo escavato derivante da attività finalizzate alla realizzazione di un’opera, tra le quali:

a) scavi in genere (sbancamento, fondazioni, trincee);

b) perforazioni, trivellazioni, palificazioni, opere di consolidamento;

c) opere infrastrutturali (gallerie, strade);

d) rimozione e livellamento di opere in terra.

Con la precisazione che, anche la presenza nelle terre e rocce escavate dei seguenti materiali: calcestruzzo, bentonite, polivinilcloruro (PVC), vetroresina, miscele cementizie e additivi - purché in concentrazioni non superiori ai limiti di cui alle colonne A e B, della Tabella 1, dell’Allegato 5, al Titolo V, della Parte IV, del Testo Unico Ambientale - non osta all’applicazione della disciplina in commento,

Pertanto, le terre e rocce da scavo di cui al DPR 120/2017, si identificano con il suolo escavato durante la realizzazione di opere, che non superano i livelli di inquinanti previsti per le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) riferiti alla specifica destinazione d’uso dei siti da bonificare.

Ed ancora, a circoscriverne ulteriormente l’ambito di applicazione, si pone l’art. 3 del DPR in commento, ai sensi del quale non rientrano nel campo di applicazione del presente decreto:

i. il materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte, tra cui:

a) i materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi;

b) gli inerti, i materiali geologici inorganici e i manufatti, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale;

c) il materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra.

ii. i rifiuti provenienti direttamente dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti (la cui gestione rimane disciplinata dalla Parte IV del TUA)1.

Con ciò a dire che, il suolo derivante da attività di realizzazione di opere che non supera i valori limite previsti per le CSC, rientra nella nozione di terre e rocce da scavo di cui al DPR 120/2017, a meno che non deriva da attività realizzate in mare o dalla demolizione di edifici o di altri manufatti.

Tale inclusione, ricordiamolo, è di fondamentale importanza, in quanto l’applicazione del DPR 120/2017 consente, a determinate condizioni, di poter gestire le terre e rocce da scavo come sottoprodotti, sottraendole quindi alle stringenti regole previste in tema di gestione dei rifiuti (classificazione, tracciabilità, conferimento a trasportatori/destinatari autorizzati etc.).

In definitiva, solo le terre e rocce da scavo prodotte da scavi, perforazioni, livellamenti e da attività di realizzazione di opere rientrano nel campo di applicazione del DPR 120/2017 e quindi legittimate a godere della più favorevole disciplina prevista per i sottoprodotti, al ricorrere delle condizioni di legge.


1 A ben vedere, l’impossibilità di ricondurre i rifiuti da demolizione all’interno del DPR 120/2017 - e quindi alla possibilità di gestirli come sottoprodotti – discende già dal fatto che la demolizione di per sé non è un’attività configurabile come “processo produttivo” dal cui svolgimento deve necessariamente esitare il residuo (ai sensi dell’art. 184-bis del TUA).

Come ribadito da una recente sentenza della Cassazione Penale infatti “non è invocabile la categoria del “sottoprodotto” in relazione ai materiali derivanti da attività di demolizione non potendo la stessa essere definita un “processo di produzione” come indicato dall’art. 184-bis D.Lgs. n. 152/2006: infatti, per essere qualificati come sottoprodotto, i materiali devono “trarre origine” - quindi provenire direttamente - da un “processo di produzione”, dunque da un’attività chiaramente finalizzata alla realizzazione di un qualcosa ottenuto attraverso la lavorazione o la trasformazione di altri materiali, mentre l’attività di mera demolizione di manufatti non è finalizzata alla produzione di alcunché” (Cass. pen. Sez. III, 18 gennaio 2018, n. 8848).

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