Quale è la differenza tra scarico sul suolo e scarico negli strati superficiali del sottosuolo?

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La creazione di laghetti artificiali, ove far confluire le acque piovane, è una soluzione sostenibile o necessita della redazione di uno studio idrogeologico a se stante?

Domanda non infrequente, la cui soluzione è racchiusa nella differenza tra scarichi nel sottosuolo (e nelle acque sotterrane) e scarichi al suolo.

I primi, infatti, sono regolati dall’art. 104, comma 1, del d.lgs. 152/2006, secondo cui gli scarichi nel sottosuolo sono vietati, salvo autorizzazione in via di eccezione e previa istruttoria apposita.

I secondi, invece, sono regolati  dall’art. 103 del medesimo Testo Unico Ambientale, che consente lo scarico al suolo delle acque meteoriche, appositamente convogliate in reti fognarie separate.

A ben vedere, tra le due ipotesi vi è una sostanziale differenza – che ne giustifica una disciplina diversa - non essendovi alcun pericolo per la falda nel primo caso, ben potendo invece la stessa essere intaccata nel secondo caso e che ne giustifica quindi prescrizioni più stringenti.

Ma tornando alla domanda, a far luce sulla vicenda ci ha pensato, da ultimo, il Tribunale Amministrativo del Piemonte secondo il quale: “per scarico su suolo deve intendersi lo scarico che avviene sul piano campagna tramite spandimento. Per scarico negli strati superficiali del sottosuolo può intendersi lo scarico che avviene in un corpo naturale, situato al di sotto del piano campagna, composto da sostanze minerali ed organiche, generalmente suddiviso in orizzonti, di profondità variabile che differisce dalla roccia disgregata sottostante per morfologia, per le proprietà, per la composizione chimicofisica e per i caratteri biologici” (Sez. I n.1153 del 18 novembre 2019).

Con ciò a dire che nel momento in cui le acque vengono convogliate in un bacino che si sviluppa in profondità – tanto da intaccare la stratigrafia del terreno – allora si è di fronte a uno scarico nel sottosuolo e come tale deve essere gestito.

La creazione di laghetti artificiali, spesso comporta lo scavo per cinque/dieci metri di profondità, il che fa integrare la condizione di cui sopra (intacca la stratigrafia del terreno) e quindi determina la qualifica di scarico nel sottosuolo.

In accordo con tale interpretazione anche il Ministero dell’Ambiente, che già nel 2013 affermava che è necessario “garantire uno spessore sufficiente […] per impedire il contatto diretto tra lo scarico e le acque sotterranee”. E ancora “la condizione sopra esposta deve intendersi come indicazione di carattere generale e comunque lo scarico può avvenire solo nei casi in cui: - si possono sfruttare i naturali processi biologici, chimici e fisici che accompagnano i moti di filtrazione e percolazione dei liquami scaricati e le conseguenti ridistribuzioni di umidità negli strati superficiali del sottosuolo; - si eviti il danneggiamento alla circolazione sotterranea”.

Con la precisazione che, sempre secondo i sopra citati giudici amministrativi, nei casi dubbi di qualificazione deve sempre essere preferita la soluzione maggiormente aderente ai principi di precauzione e proporzionalità.

In conclusione, se lo scavo del laghetto artificiale intacca la stratigrafia del terreno e non garantisce la separazione tra lo scarico e le acque sotterranee, trattasi di scarico nel sottosuolo, generalmente vietato, salvo autorizzazione in via di eccezione e previa istruttoria apposita.

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