Nell’indagine sull’inquinamento ambientale si può fare a meno della dimostrazione del nesso di causalità?

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Il dogma “chi inquina paga” impone che la riparazione del danno ambientale della direttiva 2004/35/CE1 ricada sul soggetto la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di quest’ultimo, che sarà considerato per ciò finanziariamente responsabile.

Il diritto europeo, tuttavia, non definisce le modalità di accertamento del nesso di causalità e gli Stati membri dispongono a riguardo di un ampio potere discrezionale, al fine di prevedere discipline nazionali.

L’importanza del requisito di causalità tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale non viene mai messa in discussione in ambito europeo, anche quando la Corte di Giustizia si spinge fino ad una lettura che identifica quali responsabili non solo gli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, ma anche un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, cioè i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato.1

Sul fronte nazionale la giurisprudenza in un corposo filone2, che troverà anche un riconoscimento ufficiale da parte del Ministero dell’Ambiente ammette il ricorso ad indizi plausibili nell’accertamento del nesso causale, a fronte di un inquinamento diffuso o storico.

Ci si può avvalere, quindi, anche di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto da cui si traggano indizi gravi, precisi e concordanti: sulla base di tali indizi deve risultare verosimile che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori. Per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabili- tà maggiore della metà (cioè del 50%).

Ma non si può andare oltre.

Il Consiglio di Stato Sez. II n. 7033 del 15 ottobre 2019 afferma che la responsabilità civile presuppone in ogni caso il nesso di causalità tra la condotta e l’evento.  Si rende, quindi, necessaria l’indagine sul nesso che può fondarsi anche su presunzioni cioè indizi inequivocabili e alla stregua della regola del “più probabile che non”. Si può rinunciare alla certezza assoluta, al rigore, ma non ci si può spingere oltre.

In definitiva nel sistema di responsabilità civile rimane centrale, pure nei casi che prescindono dall’elemento soggettivo, la necessità di accertare comunque il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di illecito civile colui al quale non sia imputabile l’evento lesivo neppure sotto il profilo oggettivo.


1 Corte di giustizia europea, Sez. II, del 13 luglio 2017 , causa C-129/16. Si giustifica la discre-zionalità dello Stato (Ungheria nel caso di specie) di addossare una responsabilità solidale ai proprietari dei fondi sganciata dall’accertamento del nesso di causalità alla stregua dell’art. 16 della direttiva 2004/35, che prevede la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare di-sposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. Quindi, si renderebbe possi- bile l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione e l’individuazione di altri soggetti responsabili.

2 Cons. Stato, sez. V, del 16 giugno 2009, n. 3885; Cons. stato, Sez. V, del 22 maggio 2015, n. 2569.

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