La responsabilità per fatto reato dell’ente è autonoma rispetto a quella della persona fisica che commette il reato anche nel caso di salute e sicurezza sul lavoro?

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Il D.Lgs. 231/2001 ha previsto una responsabilità per fatto reato dell’ente stravolgendo i punti fermi del diritto nazionale in ordine alla personalità della responsabilità penale.

Ed invero la responsabilità di cui al D.Lgs. 231 risulta atipica in quanto dispone una responsabilità personale come quella penale, nei confronti di una persona giuridica.

Non solo, detta responsabilità non necessita neanche dell’imputabilità del soggetto persona fisica che commette il reato presupposto al fine di poter essere comminata la corrispondente sanzione 231 nei confronti della società.

A tal proposito, infatti, l’art. 81 del D.Lgs. 231/2001 prevede che la responsabilità dell’ente permane anche quando l’autore del reato “non è stato identificato o non è imputabile”.

È chiara dunque la scissione tra il reato presupposto da cui discendono le conseguenze sanzionatorie per l’ente ed il capo d’imputazione attribuito all’ente in proprio e non al suo legale rappresentante.

Circa la responsabilità per l’ente connessa agli infortuni ovvero omicidi sul lavoro, questa è disciplinata dall’art. 25-septies del decreto 231 che risulta essere, unitamente ai reati ambientali, la sola area di rischio per cui è sufficiente la mera colpa e non anche il dolo.

La colpa viene in essere nel momento in cui una mancanza di organizzazione del lavoro tesa a generare un risparmio o comunque un interesse o vantaggio non in favore dei soggetti apicali ma proprio riguardo al medesimo ente.

Ciò comporta che laddove una decisione organizzativa producesse un vantaggio nei confronti dei vertici aziendali e non anche rispetto al patrimonio dell’ente, verrebbe meno uno dei presupposti del sistema sanzionatorio di cui al D.Lgs. 231/2001.

A tal proposito occorre precisare che cosa si intende per interesse e vantaggio dell’ente al fine di comprendere realmente la portata di tale presupposto su cui la dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo soffermate dalla venuta in essere del decreto 231.

Più precisamente mutuando le parole di una recentissima sentenza della Cassazione Penale2:

“l’interesse è il criterio soggettivo (indagabile ex ante) consistente nella prospettazione finalistica, da parte del reo-persona fisica, di arrecare un interesse all’ente mediante il compimento del reato, a nulla valendo che poi tale interesse sia stato concretamente raggiunto o meno”;

“il vantaggio, al contrario, è il criterio oggettivo (da valutare ex post), consistente nell’effettivo godimento, da parte dell’ente, di un vantaggio concreto dovuto alla commissione del reato”.

Volendo esplicitare meglio detti concetti legandoli ai reati colposi di evento: è interesse se l’autore del reato consapevolmente viola la norma cautelare prevista dalla documentazione aziendale al fine di apportare un vantaggio all’ente. Viceversa è definibile come vantaggio il caso in cui l’autore del reato, violando ripetutamente le norme prevenzionistiche (che non può esaurirsi nella mancata predisposizione di un documento obbligatoriamente richiesto da parte del D.Lgs. 81/2008 ma che deve in realtà apportare un concreto risparmio di spesa per l’ente), consente alla società di ridurre i costi massimizzando il profitto.

In conclusione non è necessario che vi sia un legame tra il vantaggio o l’interesse offerto alla persona fisica rispetto a quello prodotto in favore dell’ente è invece necessario che per configurare un reato 231 si sia generato un interesse o vantaggio dell’ente, dalla condotta tipica prodotta dal soggetto agente apicale o dipendente.

Tale considerazione deve estendersi anche all’aspetto processuale del D.lgs. 231 in quanto (come precisato nella già citata sentenza penale del 2018) non grava sul giudice alcun onere di valutare a favore dell’ente atti difensivi di altri soggetti processuali.


1 D.Lgs. 231/2001 art. 8. (Autonomia delle responsabilità dell’ente): “1. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:

a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;

b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.

3. L’ente può rinunciare all’amnistia”.

2 Cass. Pen., Sez. IV, del 9 agosto 2018, n. 38363.

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