La curatela fallimentare è detentore dei rifiuti e può essere destinataria di un obbligo di rimozione e smaltimento?

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La giurisprudenza esclude una responsabilità oggettiva a carico del proprietario o di coloro che a qualunque titolo abbiano la disponibilità dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti. Ciò conduce a negare  la natura di obbligazione propter rem dell’obbligo di ripristino del fondo a carico del titolare di un diritto di godimento sul bene1.

Perché possa affermarsi un obbligo di rimozione e smaltimento, quindi, non è sufficiente la titolarità del diritto reale o di godimento sulle aree interessate dall’abbandono dei rifiuti, ma anche l’esistenza dell’elemento psicologico e la necessità dell’accertamento della responsabilità soggettiva, in contraddittorio con i soggetti interessati, da parte dei soggetti preposti al controllo2.

Di qui una parte della giurisprudenza amministrativa afferma che “La curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica dei siti inquinanti, sia in quanto non sussiste alcun dovere del curatore di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti, sia perché la legittimazione passiva della curatela fallimentare in tema di ordinanze sindacali di bonifica determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga”, scaricando i costi sui creditori che non hanno alcun collegamento con l’inquinamento”3.

Ed è chiara nel negare che il curatore - pur avendo “l’amministrazione del patrimonio fallimentare” possa essere considerato un “detentore di rifiuti” ai sensi dall’art. 3, paragrafo 1, n. 6), della direttiva 2008/98/CE e dalla relativa norma nazionale di recepimento, costituita dall’art. 183, comma 1, lett. h), del decreto legislativo n. 152/2006.

Si argomenta ancora che la produzione di rifiuti si connette all’esercizio di un’attività imprenditoriale, che è estranea al curatore, che ha il limitato compito di liquidare i beni del fallito per soddisfare i creditori ammessi al passivo (compito al quale è strettamente connessa “l’amministrazione del patrimonio fallimentare”).

Tuttavia, parte della giurisprudenza controbatte che  la curatela ha la custodia dei beni del fallito, anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale e non può trarre vantaggio dall’art. 192 del D. Lgs. 152/2006, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata. Nella qualità di detentore dei rifiuti è, piuttosto,  obbligata a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero4.

L’art. 14 par. 1 della Dir. 2008/98/CE impone, infatti, che  i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale, o dai detentori del momento, o dai detentori precedenti dei rifiuti. La detenzione dei rifiuti, quindi, fa sorgere automaticamente un’obbligazione comunitaria avente un duplice contenuto:

  • il divieto di abbandonare i rifiuti;
  • l’obbligo di smaltire gli stessi.

Pertanto, si afferma che la curatela non è responsabile della produzione dei rifiuti, e non subentra nella responsabilità dell’impresa fallita, ma la disciplina comunitaria impone l’obbligo di rimozione e smaltimento non solo al produttore dei rifiuti ma anche al detentore attuale, inteso come la persona fisica o giuridica nel possesso degli stessi, salvo regresso nei confronti del produttore. La custodia dei beni del fallimento rende ex lege la curatela detentore dei rifiuti che si trovano all’interno dei suddetti beni, sollevando da tale condizione l’impresa fallita5.

In conclusione, la questione è dibattuta in giurisprudenza.


1 In tal senso T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 6 agosto 2018, n.1676; T.A.R. Reggio Calabria, 27 febbraio 2018, n. 89; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 4 ottobre 2017, n. 1569; Cons. St., sez. IV, 25 luglio 2017, n. 3672; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 18 settembre 2017, n. 2190.

2 In tal senso ex multis: Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 2017, n. 705; T.A.R. Puglia, Bari sez. I, 24 marzo 2017, n. 287; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 7 gennaio 2016, n. 12; T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, n. 23 giugno 2016, n. 1023; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 15 marzo 2016, n. 253; T.A.R. Toscana, Sez. II, 24 giugno 2016, n. 1068.

3 Tar Sicilia (Catanzaro, Sez. I, del 5 settembre 2018, n.1764; TRGA Trento Sez. unica n. 309 del 24 novembre 2017.

4 Già in tal senso Consiglio di Stato, sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3672.

5 Tar Lombardia (Sez. I del 19 novembre 2018, n. 1092).

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