Il Documento di trasporto è sufficiente a provare la natura di sottoprodotto?

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Come noto, per potersi parlare di sottoprodotto e non di rifiuto l’art. 184-bis del TUA prevede determinate condizioni, ovvero:

“a)  la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto;

b)  è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;

c)  la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;

d)  l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Le suddette condizioni, inoltre, dato che consentono di derogare alla  disciplina  relativa alla gestione dei rifiuti garantendo un regime di favore, devono essere provate dal soggetto che ne vuole usufruire.

Ma quali sono i documenti idonei a dimostrare la qualifica di sottoprodotto? È sufficiente il documento di trasporto con cui viaggiano i materiali?

Il quesito trae spunto dalla recentissima sentenza  n.1583 del 2020 in cui la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla idoneità del documento di trasporto a fondare la qualifica di sottoprodotto.

Nel caso di specie, infatti, un soggetto privato addetto all’operazione di trasporto di materiali plastici dall’azienda produttrice, che poi avrebbe riutilizzato tali materiali per la creazione di paraurti per auto, alla azienda a cui era stata esternalizzata la funzione di riduzione del volume e triturazione di tali scarti,  è stato condannato in primo grado per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett.a) per aver effettuato il trasporto di rifiuti non pericolosi in assenza della prescritta autorizzazione.

Questo ultimo, pertanto ha proposto Ricorso in Cassazione sostenendo che i suddetti prodotti non potevano essere classificati come rifiuti bensì come sottoprodotti in ragione della documentazione presentata in giudizio, ovvero il documento di trasporto con cui viaggiavano tali materiali, dal quale si poteva desumere la natura e la tipologia di plastica trasportata.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha ritenuto sufficiente la documentazione probatoria presentata dall’imputato circa le condizioni richieste dal TUA per la definizione di sottoprodotto.

Ed invero gli Ermellini hanno specificato che: “la natura di sottoprodotto sarebbe stata agevolmente documentata anche e sopratutto sotto il profilo prettamente tecnico, involgendo, come è noto, le caratteristiche del ciclo di produzione, il successivo reimpiego, eventuali successivi trattamenti, la presenza di caratteristiche atte a soddisfare, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana” ma che la presenza di tali caratteristiche non è “desumibile dai DMT, in quanto essi non danno conto dei requisiti ora indicati, richiesti per la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto”.

In conclusione, quindi, il documento di trasporto non è sufficiente a provare la natura di sottoprodotto essendo necessario dimostrare tutte le condizioni di cui all’art. 184-bis del TUA.

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