I fanghi derivanti dal lavaggio degli inerti di cava sono rifiuti?

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Come noto l’art. 183 del D. Lgs. n. 152/2006 nel classificare il rifiuto lo definisce come “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi”.

I confini di tale espressione sono stati oggetti di diversi interventi giurisprudenziali che ne hanno attentamente delineato l’ambito di applicazione, in particolare quanto alla portata del termine “disfarsi”.

Così i giudici di legittimità in una recente pronuncia: “E’ altrettanto noto che la corretta individuazione del significato del termine “disfarsi” ha lungamente impegnato dottrina e giurisprudenza, nazionale e comunitaria, la quale ultima ha più volte chiarito alcuni concetti fondamentali, quali, ad esempio:

- la necessità di procedere ad una interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni inerenti alla loro natura (Corte Giustizia 11 novembre 2004, Niselli);

- di interpretare il verbo “disfarsi” considerando le finalità della normativa comunitaria e, segnatamente, la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti;

- di assicurare un elevato livello di tutela e l’applicazione dei principi di precauzione e di azione preventiva (Corte Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit)”.1

Pertanto, continuano i giudici, deve ritenersi inaccettabile ogni valutazione soggettiva della natura dei materiali da classificare o meno quali rifiuti, poiché “è rifiuto non ciò che non è più di nessuna utilità per il detentore in base ad una sua personale scelta ma, piuttosto, ciò che è qualificabile come tale sulla scorta di dati obiettivi che definiscano la condotta del detentore o un obbligo al quale lo stesso è comunque tenuto, quello, appunto, di disfarsi del suddetto materiale”.

Conseguentemente, ferme le suddette considerazioni giurisprudenziali, quanto ai fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava la Cassazione Penale con sentenza n. 7042 del 20192 ne ha affrontato la questione profilando e precisando il discrimine dell’esclusione o meno dal regime dei rifiuti.

Ciò, come noto, ne determina il rispetto della stringente normativa sulla gestione dei rifiuti ai sensi del D. Lgs. 152/2006 con ogni conseguenza in termini di autorizzazione, deposito, trasporto e smaltimento idonea a configurare i reati di specie.

Ebbene, con la suddetta sentenza la Cassazione penale è intervenuta classificando tali fanghi come rifiuti e riconoscendo la sussistenza del reato di attività di gestione dei rifiuti non autorizzata ex art. 256 del D. lgs. n. 152/2006.

In particolare, quanto ai fanghi derivanti dal lavaggio di inerti provenienti da cava, infatti, come già affermato in precedenti pronunce3:

- sono sottratti alla disciplina sui rifiuti solo quando rimangono all’interno del ciclo produttivo dell’estrazione e della connessa pulitura;

- quando, invece, avviene una loro successiva e diversa attività di lavorazione devono considerarsi rifiuti sottoposti alla disciplina generale circa il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica.

Si era già detto anche in un precedente4 arresto che “sono esclusi dalla normativa sui rifiuti solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura, cosicché l’attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali e, se si esula dal ciclo estrattivo, gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti ed il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale”.

In conclusione, per classificare i fanghi derivanti dal lavaggio degli inerti di cava come rifiuti e, dunque, gestirli come tali (in termini di deposito e smaltimento) è necessario che essi subiscano una attività di lavorazione - successiva e diversa rispetto al lavaggio - che esuli dal ciclo produttivo dell’estrazione e della pulitura.

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