Sequestro preventivo in caso di estraneità dell’ente rispetto all’illecito

Tra le misure cautelari previste dal D. Lgs. 231 del 2001, vi è quella del sequestro preventivo (art. 53 del D.Lgs. 231/2001) che laddove applicato, consente di confiscare i beni dell’ente responsabile dell’illecito amministrativo dipendente dal reato presupposto.

Tale fattispecie rappresenta una ipotesi particolare di sequestro preventivo in quanto permette di confiscare i beni “dell'ente” anche quando questi non siano di proprietà della persona fisica che ha effettivamente commesso il reato, ma solo della persona giuridica.

Ma quando l’impresa risulta del tutto estranea all’illecito commesso dal proprio apicale o sottoposto, può comunque essere soggetta al sequestro preventivo?

Sulla questione si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione che ha dovuto valutare il ricorso presentato da una società farmaceutica, che si era vista confermare dal Tribunale del riesame di Teramo, seppur in maniera ridotta, la misura cautelare del sequestro preventivo, nonostante la sua estraneità al fatto illecito.

L’impresa farmaceutica, infatti, era stata individuata come destinataria del sequestro, alla luce del fatto che un suo informatore scientifico, aveva posto in essere i reati di falso in atto pubblico (art. 483 c.p.)  e truffa aggravata ai danni della PA (art. 640 c.p.), attraverso una condotta consistente nel far ordinare all’ospedale, un numero di dispositivi medici prodotti dall’azienda in questione, superiore a quelli realmente necessari, con ciò garantendo maggiori provvigioni a sé stesso, ma realizzando anche un vantaggio per la società farmaceutica.

La società ricorrente, tuttavia, innanzitutto lamentava di essere oggetto del sequestro preventivo pur non essendo coinvolta nel procedimento penale ed inoltre affermava di non poter essere identificata con la qualifica di terzo avvantaggiato del reato commesso, sostenendo la tesi che i prodotti consegnati all’ospedale fossero stati fatturati soltanto dopo che l'ospedale ne aveva certificato l'utilizzo attraverso l'emissione dell'ordine di fatturazione; con ciò a dimostrare che per l’impresa queste erano vendite effettuate in termini di correttezza.

Ebbene i giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso presentato dalla Società farmaceutica specificando il concetto di “terzietà” rispetto alla commissione del reato presupposto.

Nello specifico è stato chiarito che terzo è la persona estranea al reato, ovvero la persona che non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma che da esso non abbia ricavato vantaggi e utilità” e che oltre a tal requisito oggettivo si aggiunge quello “soggettivo” consistente nella “buona fede del terzo”, ossia nel fatto che il terzo, pur utilizzando la normale diligenza richiesta, non possa essere a conoscenza dell’illecito.

Quindi, per quanto di interesse ai fini della normativa 231, la Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha ritenuto del tutto estranea la Società in quanto, oltre a non risultare in alcun modo coinvolta nel reato, non risultava nemmeno destinataria di alcuna contestazione di illecito dipendente da reato imputabile all’ente secondo il meccanismo del d. lgs. 231 del 2001 con la conseguente impossibilità di applicare alla stessa la misura cautelare del sequestro preventivo ex art. 53 del medesimo decreto.

Gli Ermellini, infatti, hanno stabilito che: “va innanzitutto evidenziato che, nonostante uno dei reati contestati costituisca reato presupposto di illecito dipendente da reato imputabile all'ente ex D.Lgs. n. 231 del 2001, esso non risulta attribuito all'ente, che, invece, per tale via avrebbe dovuto risponderne, o comunque non avrebbe potuto essere considerato terzo rispetto al reato, laddove l'illecito fosse stato commesso da persone fisiche in posizione qualificata nell'ente medesimo o soggette al loro controllo, e in riferimento alle quali sarebbe stata dunque configurabile una colpa in organizzazione”.

Appare evidente, quindi, che a prescindere dalla commissione di un reato potenzialmente presupposto della responsabilità 231 (perché previsto nel catalogo dei reati 231), commesso, da parte del proprio dipendente o apicale, vi è l’impossibilità di applicare la misura cautelare del sequestro preventivo all’ente a cui non sia stato contestato l’illecito 231, in quanto ritenuto soggetto terzo ed estraneo al fatto.