Nuova nozione di rifiuti urbani: l’AGCM boccia il vincolo quinquennale

EDITORIALE, 31/03/2021

Un’ennesima bocciatura per la nuova disciplina in materia di rifiuti urbani introdotta dal D.lgs. 116/2020 arrivata, questa volta, dall’Agcm che ha ravvisato profili di scarsa concorrenzialità, come puntualmente indicato nell’ambito delle segnalazioni annuali consegnate al Governo ai fini della legge per il Mercato e la Concorrenza.

L’Autorità, non nuova a interventi in materia di rifiuti, chiede la modifica del regime di mercato introdotto dall’art. 238, comma 10 TUA, considerandolo discriminatorio per i gestori privati.

Vediamo dunque il testo dell’articolo per capire quali siano le critiche sollevate.

La norma prevede che: “Le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di  cui all'articolo 183 comma 1, lettera b-ter) punto 2, che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli  avviati  al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto  che  effettua l’attività  di  recupero  dei  rifiuti  stessi  sono  escluse  dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla  quantità dei rifiuti conferiti; le medesime utenze  effettuano  la  scelta  di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso  al  mercato per un periodo non inferiore a cinque anni, salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro  richiesta  dell'utenza  non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima  della scadenza quinquennale”.

Il termine ultimo per tale comunicazione - in base a quanto previsto dal D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (cd. “Decreto Sostegni”) all’art. 30 – è fissato al 31 maggio di ciascun anno.

Ebbene, in tale quadro di disciplina, secondo l’Autorithy la nuova normativa nello stabilire la necessità di stipulare con il gestore pubblico o con l’operatore privato prescelto un accordo contrattuale con una dura minima quinquennale sarebbe discriminatoria per i gestori privati, in quanto, mentre è possibile rientrare nella gestione pubblica in ogni momento e, quindi, anche prima del decorso dei cinque anni, non è consentito il contrario.

Pertanto, al fine di non ostacolare la concorrenza tra i diversi operatori (privati e pubblico) del servizio di raccolta e avvio a recupero dei rifiuti – scrive l’Agcm – viene richiesta l’eliminazione della durata minima quinquennale dell’accordo.

Tale previsione di un accordo contrattuale di durata quinquennale ope legis è stata peraltro considerata dall’autorità un’impropria forma di estensione in senso orizzontale della privativa del servizio di gestione integrata.

Accanto a tale profilo l’Agcm ha ritenuto di censurare anche quella che definisce una impropria estensione verticale della medesima privativa.

Ed invero, viene contestata la frequente estensione delle attività ricomprese nella privativa del servizio di gestione dei rifiuti urbani che viene ampliata fino a ricomprendere non solo l’attività di raccolta, trasporto e avvio a smaltimento e recupero ma anche l’attività di smaltimento e recupero stesso, che invece andrebbero svolte in regime di mercato.

In merito, l’AGCM ribadisce che “appare necessario prevedere che la gestione integrata debba essere affidata e svolta nel rispetto del principio concorrenza, e non possa comportare improprie monopolizzazioni dei mercati concorrenziali”.

La bocciatura della durata quinquennale dell’accordo con gestori pubblici e privati per le illustrate ragioni di violazione della concorrenza si configura quale ennesimo profilo di problematicità della nuova nozione di rifiuti urbani.

Attendiamo di vedere se il Legislatore - anche vista l’autorevolissima fonte della critica - riterrà opportuno intervenire sul punto.

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