LE “QUATTRO R” DELL’ECONOMIA CIRCOLARE

EDITORIALE, 23/04/2019



Nell’era dell’economia circolare se ne fa un gran parlare, tanto che le famigerate “quattro R” sono diventate la base e il pilastro di un modello economico ove il valore dei beni e dei prodotti è mantenuto il più a lungo possibile.

Ma in cosa consistono veramente?

Ebbene, con l’espressione “quattro R”, ci si riferisce alle azioni del: Ridurre, Riusare, Riciclare e Recuperare, poste alla base dell’economia circolare e che a ben vedere coincidono con i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti di cui all’art. 179 del D.Lgs 152/2006.

Ed infatti, ai sensi di quest’ultima norma, nella gerarchia delle operazioni da adottare che costituiscono la migliore opzione ambientale possibile, in pole position troviamo: la prevenzione (riutilizzo diretto/riuso); la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio (riciclo) e il il recupero.

Ma quale è la linea di confine di dette operazioni? Comprenderlo appieno appare di fondamentale importanza perché unicamente quelle rientranti nel concetto di prevenzione possono essere esercitate senza ottenere prima una specifica autorizzazione.

Ad aiutarci è lo stesso Testo Unico Ambientale, laddove all’art. 183, comma 1:

  1. lett. r), definisce “riutilizzo[diretto]”: “qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti sono reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti”;
  2. lett. q) definisce “preparazione per il riutilizzo”: “le operazioni di controllo, pulizia, smontaggio e riparazione attraverso cui prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono preparati in modo da poter essere reimpiegati senza altro pretrattamento”;
  3. lett. u) definisce “riciclaggio”: “qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i rifiuti sono trattati per ottenere prodotti, materiali o sostanze da utilizzare per la loro funzione originaria o per altri fini1;
  4. lett. t) definisce “recupero”: “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale”.

Dunque, unicamente il riutilizzo diretto (nel gergo comune definito anche riuso) di un bene che non è rifiuto, per le medesime finalità per le quali era stato in origine concepito, si pone al di fuori delle attività di gestione dei rifiuti  - rientrando invece nell’attività di prevenzione - e come tale non deve essere autorizzato2.

Diversamente si avrà una attività di gestione del rifiuto, declinata – a seconda del tipo di attività compiuta (più o meno invasiva) - nelle differenti forme della preparazione al riutilizzo, riciclaggio e del recupero, le quali necessiteranno invece di apposita autorizzazione.

A ben vedere, tale soluzione è quella maggiormente rispondente a logiche di sicurezza. Ed invero, come rilevato anche dalla Commissione Europea3, l’uso di un bene non è necessariamente sicuro per tutti i suoi possibili utilizzi, sicchè un suo riuso (riutilizzo diretto) - al di fuori di qualsiasi logica autorizzativa e al di fuori della sua qualifica di rifiuto – sarà possibile unicamente rispettandone l’originaria destinazione d’uso (ossia quella per la quale era stato in origine progettato e costruito).

La distinzione sopra esposta riuso (riutilizzo diretto)/riciclo/recupero sembra poi essere anche quella sposata dai vari Enti territoriali a diverso titolo coinvolti nelle attività di riuso. La Regione Emilia Romagna, ad esempio, nelle sue “Linee guida per i centri comunali e non comunali del riuso”4, consente l’accesso ai Centri del riuso dei soli beni suscettibili di un riuso (riutilizzo) diretto, “per le finalità originarie”, che vengono poi ritirati (gratuitamente o a titolo oneroso) da coloro che sono intenzionati a riutilizzarli, donandogli “nuova vita”. Attività queste che non necessitano di autorizzazione, fintantochè vengono rispettate le predette condizioni, e che sono soggette unicamente ad una iscrizione nell’Elenco regionale dei centri del riuso. Analogamente la Regione Umbria accetta nei propri Centri di Riuso solo “beni che possono essere utilizzati per gli usi, gli scopi e le finalità originarie5, attività non soggetta ad autorizzazione, ma a mera iscrizione nell’Elenco regionale dei centri del riuso.

In definitiva il riuso, il riciclo e il recupero non sono che diverse facce della stessa medaglia, ossia di un sistema che – nell’ottica di una economia circolare – tende a ridurre la produzione dei rifiuti, attraverso operazioni di riutilizzo diretto e – ove ciò non sia possibile – di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e di recupero.



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1 Con la precisazione che, ai sensi della predetta definizione, il riciclaggio include il trattamento di materiale organico ma non il recupero di energia né il ritrattamento per ottenere materiali da utilizzare quali combustibili o in operazioni di riempimento.

2 Quanto alla preparazione per il riutilizzo, si evidenzia che la mancata adozione del decreto Ministeriale di cui all’art. 180-bis del TUA, volto a disciplinare – tra l’altro - forme di autorizzazione semplificata per dette operazioni  fa si che nel frattempo l’unica autorizzazione possibile sia quella ordinaria.

3 Cfr. Commissione Europea Imprese e Industria, “Guida all’applicazione della direttiva macchine 2006/42/CE”, 2 ed. giugno 2010, utilizzabile quanto alla sua ratio applicativa.

4 Approvate con Deliberazione della giunta regionale 25 SETTEMBRE 2017, N. 1382.

5 Cfr. "Linee guida regionali per la realizzazione e la gestione dei centri di riuso" approvate con D.G.R. n. 798 del 11.07.2016  ss.mm.ii.

 

 

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