La Cassazione penale si pronuncia su diversi aspetti in materia di scarichi

EDITORIALE, 25/06/2021

Numerose sono state le sentenze in materia di scarichi depositate questo mese dalla Corte di Cassazione penale, nelle quali vengono toccati e ribaditi diversi aspetti:

  • la nozione di scarico;
  • la prevedibilità dello sversamento ai fini della richiesta di autorizzazione;
  • i limiti del caso fortuito e della forza maggiore.

Sulla nozione di scarico, nella sentenza n. 17178/2021, la III Sezione ci ricorda che “la nozione di scarico contenuta nella lett. ff) dell’art. 74, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, consiste, testualmente, in qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore […], aggiungendo poi dovere essere esclusi da detta nozione i rilasci di acque previsti dall’art. 114. Di qui, dunque, la necessità, resa immediatamente evidente dalla lettera della norma, che, per aversi “scarico”, sia anzitutto appunto necessaria una fisica “immissione” in un corpo ricettore, presupposto questo, logicamente derivante, del resto, dallo stesso vocabolo “scarico”, caratterizzato dalla “s” con valore privativo e da “carico” ed implicante, quindi, una condotta che comporta una operazione di “sottrazione […]”.

Pertanto, la condotta consistente nella gestione di un autolavaggio senza essere in possesso dell’autorizzazione relativa ad una cisterna preposta allo stoccaggio di acque reflue non dà luogo alla fattispecie di cui all’art. 137 TUA, in assenza di una immissione in un corpo ricettore.

Sulla prevedibilità degli sversamenti ai fini della richiesta di autorizzazione, la stessa sezione della Cassazione Penale, con sentenza n. 18385/2021, ribadisce il principio in forza del quale “in materia di tutela delle acque dall’inquinamento, non configura il reato di scarico di acque reflue industriali di cui all’art. 137 del D.Lgs. n. 152 del 2006 uno sversamento, non ragionevolmente prevedibile, provocato da negligenza del soggetto agente, non potendo pretendersi, in tale caso, la presentazione da parte di quest’ultimo di una regolare richiesta di autorizzazione”.

La sentenza si pone nel solco di quell’orientamento giurisprudenziale – peraltro non univoco – che condivisibilmente ritiene che l’imprevedibilità dell’evento rende inesigibile la presentazione di una richiesta di autorizzazione e “una diversa soluzione interpretativa finirebbe con il configurare il reato in termini di mera responsabilità oggettiva”.

Sui limiti del caso fortuito e della forza maggiore, infine, nella sentenza n. 19986/2021 la Cassazione penale precisa che “il caso fortuito e la forza maggiore hanno, quale fondamento, la eccezionalità del fatto e la imprevedibilità dello stesso” e che “in materia di inquinamento idrico, tali evenienze non sono ravvisabili nel verificarsi di guasti tecnici dell'impianto (nella specie, rottura di un a condotta che determini la fuoriuscita dei reflui) trattandosi di accadimenti che, sebbene eccezionali, ben possono essere in concreto, previsti ed evitati”.

L’occasione è offerta dal ricorso per Cassazione presentato da un soggetto condannato per il reato di cui all’art. 29-quaterdecies, co. 3, lett. a) per aver scaricato acque reflue che superavano i limiti prescritti nell’autorizzazione. Il ricorrente, più in particolare, lamentava che la mattina dei controlli si era verificato un blocco dell’impianto di depurazione la cui imprevedibilità avrebbe imposto l’esonero da responsabilità. I giudici di legittimità, tuttavia, rigettano tali censure difensive, ritenendo che un guasto tecnico dell’impianto non può avere natura imprevedibile, in quanto accadimenti prevedibili ed evitabili attraverso la dovuta diligenza e il dovuto.

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