Julia Roberts, nel film Erin Borckovich, interpretava un’attivista statunitense, nota per aver intrapreso la più grande azione legale contro la contaminazione delle acque della cittadina in cui viveva: Hinkley, California.
Chi non ha mai sognato, almeno una volta, di calcarne le orme, facendo valere l’indiscutibile diritto di ogni cittadino a vivere in un’ambiente sano?
Da oggi, tale eventualità si è trasformata in una concreta possibilità.
Con la Legge 3 aprile 2019 n. 31, infatti, sono stati estesi i confini applicativi della class action, avvicinandola sempre di più al modello americano, e ricomprendendovi anche la sfera ambientale.
Possibilità, questa, in origine esclusa in quanto l’istituto della class action veniva circoscritto entro ben delineati confini, essendo di fatto relegato a due sole ipotesi: a tutela dei consumatori (art. 140-bis ss.mm.ii. D.Lgs 206/2005); e come strumento di tutela contro l’azione della Pubblica Amministrazione (D.Lgs 198/2009).
Entrambi i modelli risultavano però di fatto inapplicabili alla tutela dell’ambiente. Il primo richiedeva infatti l’esistenza di un consumatore e di un precedente rapporto contrattuale (non essendo configurabile per gli illeciti extracontrattuali, come la maggior parte di quelli ambientali). Il secondo si traduceva in un controllo esterno sugli standard di qualità della Pubblica Amministrazione) e quindi era privo di una tutela risarcitoria diretta.
Una prima apertura verso una tutela collettiva del “bene ambiente”, si è avuta grazie a quella parte della giurisprudenza1 (minoritaria), che considerava le vittime di danno ambientale come consumatori o utenti del bene ambiente, e in tal modo rendeva esercitabile l’azione ai sensi dell’art. 140-bis del Codice dei Consumatori. Tali pronunce rimanevano però dei casi isolati.
Oggi, detta situazione è destinata a cambiare rapidamente.
Come sopra accennato, la L. 31/2019, estende l’istituto della class action a chiunque risulti titolare di un interesse omogeneo (anche inerente alla sfera ambientale) – individualmente o tramite comitati o associazioni – per ottenere il risarcimento del danno (contrattuale e extracontrattuale), contro le imprese o i gestori di servizi pubblici.
Come fare?
Basta proporre ricorso alla sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale territorialmente competente, anche senza l’assistenza di un avvocato. A patto però che l’atto introduttivo contenga alcuni elementi essenziali, ossia: i dati identificativi dell’aderente, l’oggetto, le ragioni, gli eventuali documenti probatori e il conferimento del potere di rappresentanza al rappresentante comune degli aderenti alla classe.
Il procedimento si articolerà quindi in tre fasi: ammissibilità dell’azione di classe, decisione sul merito (ossia della fondatezza delle ragioni poste a sostegno dell’istanza) e eventuale liquidazione delle somme dovute agli aderenti all’azione.
Ma attenzione!
L’adesione al ricorso può essere anche postuma, cioè può essere effettuata anche dopo la sentenza che accoglie l’azione. Arma questa a doppio taglio, perché sebbene consente una tutela senza tempo del bene ambiente, rende quanto mai incerta l’entità dell’eventuale risarcimento (che dipenderebbe dal numero dei soggetti aderenti, che potrebbe variare anche dopo l’accoglimento della domanda).
Rimane ad ogni modo l’indubbio pregio di una riforma tanto attesa, di cui non resta che aspettare la concreta applicazione pratica, per poterne tirare in definitiva le somme.
1 Trib. Roma, sez. civ. II, ord. 2 maggio 2013.