L’estate finalmente è arrivata, abbiamo tutti concluso il cambio di stagione e - come ogni anno - ci troviamo di fronte al dilemma di cosa fare degli abiti in eccesso. C’è chi ha la possibilità di regalarli ad un amico, chi di passarli al fratellino minore oppure c’è chi li mette da parte “perché non si sa mai”, è innegabile però che tanti sono quelli che non sanno come gestirli.
Il fatto che, nell’ultimo decennio, si è diffuso un modello di consumo che offre prezzi inferiori, collezioni annuali e nuovi stili a cui omologarsi, di certo non ha aiutato a risolvere il problema, anzi lo ha, se possibile, ingarbugliato di più! Inoltre, tale scelta non sempre si presenta come quella ambientalmente più sostenibile.
Ad esempio, oggi l’industria dell’abbigliamento fa uso di più di 98 milioni di tonnellate di risorse non rinnovabili all’anno, compreso il petrolio per produrre le fibre sintetiche e i prodotti chimici per produrre, tingere e rifinire fibre e tessuti. Allo stesso tempo, la stessa (industria tessile) consuma 93 miliardi di metri cubi di acqua e produce circa 1.2 miliardi di tonnellate di CO2, nonchè 500mila tonnellate di fibre di microplastica.
A fronte di tali dati poi meno dell’1% del materiale utilizzato in produzione viene riciclato/recuperato e si stima che entro il 2050 la produzione triplicherà vanificando gli sforzi per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’emissioni in atmosfera e contenimento del consumo di risorse non rinnovabili.
Per cercare di limitare gli sprechi, molte sono le iniziative che stanno intraprendendo i grandi marchi della moda. Tantissimi, ad esempio, sono i progetti che prevedono, fin dalla produzione di nuovi indumenti, l’utilizzo di materiali non inquinanti; ovvero l’incentivo al riciclo tramite l’offerta di servizi di raccolta gratuita di abiti usati nei negozi di abbigliamento, in cambio di buoni d’acquisto1.
Tuttavia, tali sforzi si dimezzano se non sono accompagnati da una scelta consapevole dei cittadini, in ordine al destino dei propri indumenti usati.
E quindi: chi si occupa di gestirli e come lo fa?
Cominciamo col dire che i vestiti e i prodotti tessili vengono considerati rifiuti, soltanto a seguito di operazioni di dismissione da parte dei loro proprietari. E così, in tutti i casi in cui si conferiscono i vestiti in contenitori stradali o anche posti all’interno dei negozi, l’intenzione di disfarsene li qualifica come rifiuti; viceversa nel caso in cui venga previsto il reimpiego diretto – ad esempio perché conferiti a parrocchie, che li posizionano in armadi e quindi li donano ai bisognosi - siamo ancora all’interno del perimetro dei prodotti.
Pertanto, bisogna innanzitutto fare una distinzione: tra indumenti usati divenuti rifiuti e quelli che non lo sono ancora diventati perché utilizzati in modo differente.
Nel primo caso (indumenti usati= rifiuti) gli stessi potranno seguire due strade diverse:
- se provengono dalle nostre case (come nella maggior parte dei casi avviene), potranno essere qualificati come rifiuti urbani2 e quindi basterà conferirli al gestore del servizio pubblico di igiene urbana – o ai soggetti che hanno stipulato con quest’ultimo apposite convenzioni sul punto - ad esempio tramite il conferimento negli appositi cassonetti stradali, senza la redazione del FIR.
- Se invece hanno un’origine diversa da quella domestica e non sono assimilabili ai rifiuti urbani (come gli scarti della produzione tessile), gli stessi andranno qualificati come rifiuti speciali3 e dunque gestiti secondo la relativa filiera (trasporto, recupero, smaltimento per il tramite di soggetti autorizzati, compilazione della documentazione inerente alla tracciabilità dei rifiuti).
Nel secondo caso (indumenti usati=beni), invece, basterà portare i nostri indumenti usati direttamente alle parrocchie, alle associazioni di beneficenza o ai mercatini vintage, accertandoci che queste li gestiscano come beni e non come rifiuti (es. posizionamento in armadi e riutilizzo diretto a favore dei bisognosi). Con la specificazione che, sono esclusi naturalmente da questa ipotesi gli indumenti inidonei ad un successivo utilizzo diretto, che quindi devono essere sottoposti a successivi trattamenti.
Ciò detto, le soluzioni per raggiungere gli obiettivi di riutilizzo diretto/riciclo/recupero di abbigliamento e tessile ci sono!
Allora avanti, ora tocca a noi rimboccarci le maniche - dei vestiti di cui ancora non abbiamo deciso di disfarci – per rendere il nostro cambio di stagione ogni anno più sostenibile!
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1 https://www.zara.com/it/it/sostenibilita-collection-program-l1452.html
https://www2.hm.com/it_it/donna/acquista-per-stile/16r-garment-collecting.html.
2 Cfr. art. 184, comma 2, lett. a) D.Lgs 152/2006.
3 Cfr. art. 184, comma 2, lett. c) D.Lgs 152/2006.