di Lucia Giulivi
La responsabilità per fatto reato dell’ente è da sempre un tema di difficile classificazione soprattutto in ragione della sua natura tra colpa di organizzazione e responsabilità oggettiva (questa ultima ampliamente superata ormai) tra responsabilità amministrativa e penale.
A renderla così peculiare è senza dubbio l’impianto sanzionatorio che prevede sanzioni pecuniarie ed interdittive applicate dal giudice penale chiamato a valutare sia il c.d. reato base che il reato 231 contestato all’ente in quanto tale.
Quanto all’ambito oggettivo di applicazione della responsabilità questo risulta tassativamente indicato all’interno del D.Lgs. 231/2001 che elenca i reati presupposto suddividendoli per macro-famiglie.
Tra le tipologie di condotte antigiuridiche annoverate nel decreto le sole aree di interesse che prevedono la rimproverabilità per colpa del soggetto agente sono racchiuse negli artt. 25-septies (in materia di lesioni gravi o mortali nei luoghi di lavoro) e 25-undecies (afferente alle fattispecie ambientali).
Ed è proprio con riferimento all’art 25-undecies che si gioca l’importante ruolo della giurisprudenza di legittimità grazie alla quale le singole fattispecie criminose richiamate nel D.lgs. 231/2001, trovano esplicazione e chiarezza applicativa.
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