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A rispondere a tali quesiti ci ha pensato di recente la Suprema Corte che, nell’affrontare la questione relativa al disastro ferroviario di Viareggio, si è trovata a valutare la responsabilità di alcune società con sede all’estero, imputate ai sensi dell’art. 25-septies del decreto 231, per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose commesse dai propri esponenti.
La Suprema Corte, ha ritenuto non sussistente per le società straniere il reato presupposto, annullando senza rinvio la sentenza di secondo grado, tuttavia prima di pronunciarsi in tal senso ha dovuto affermare la questione pregiudiziale relativa alla sussistenza della giurisdizione italiana.
Ebbene, fra le varie motivazioni riportare dalla Corte di Cassazione rileva quella secondo la quale le difese prospettate dagli enti e basate in parte sulla impossibilità per questi ultimi di orientare la propria condotta organizzativa ai parametri cautelari-organizzativi previsti nell'ordinamento nazionale, non sono fondato
Secondo gli Ermellini, infatti, nel caso di specie le regole cautelari che rilevavano “avevano uno statuto peculiare, che traeva origine dall'essere cogenti in ragione della loro efficacia preventiva” con ciò a dire che “non è pertinente evocare la loro inclusione in un ordinamento diverso, giacché quel che rileva è che siano riconosciute dal consesso sociale come efficaci per la gestione del rischio di cui si tratta”.
La Suprema Corte, quindi, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata non ritenendo sussistente per le società straniere il reato presupposto 231, ma affermando comunque l’applicabilità della normativa 231 anche alle società con sede all’estero che hanno commesso un reato 231 in Italia.